Oggi per la prima volta sono entrato in una aula di tribunale per un processo penale... Cosa da poco il mio ruolo: ormai 5 anni fa ho assistito nella Napoli delle persone comuni e dei soliti imbecilli tendenti al delinquenziale, a un investimento. Dinamica in due parole: si scende dall'autobus e invece di passare da dietro, si attraversa davanti. E così, sulla preferenziale, arriva il motorino di turno a velocità sostenuta, supera il bus fregandosene di ogni rischio, e investe il povero pedone. Solo che poi, invece di prendersi cura di chi si è investito, si rialza il mezzo e si va via senza voltarsi... Cosa ricordo? Di aver sentito il rumore dell'urto, di essermi voltato, e di aver visto il tizio rialzare il motorino e andare via. Non essendo un film americano, e essendo anche io miope, nessuna targa segnata, nessun inseguimento di polizia... E poi ricordo a terra il povero vecchio sputare sangue, e il suo panino alla mortadella nella carta gialla del salumiere abbandonato tra i binari del tram...
Ho ripetuto la mia deposizione di 5 anni fa. Abbastanza inutile la mia partecipazione, eppure una strana sensazione di ansia di fronte alla scritta a caratteri cubitali nella sezione penale. Non so da cosa dipendesse, ma mi sentivo in soggezione e nel rischio di dire qualcosa di sbagliato che improvvisamente mi catapultasse in un qualche incubo da film. La paura da polizia e magistratura, ingiustificata, secondo me però è parte della nostra natura meridionale. Troppo spesso ci siamo sentiti come popolo sotto accusa e sotto indagine. C'è da qualche parte un senso di angoscia da rischio immaginario, una fibrillazione da occhio critico, che ci rende tesi e dà ampia energia alle nostre antenne del pericolo... E quindi ecco la mia gamba battere nervosamente e le mie parole raggiungere la velocità della luce...
Prova superata, ma spero sinceramente di non doverci andare più nelle sale giudiziarie con le gabbie: senza alcuna ragione, mi ci immagino rinchiuso, e questo è un incubo di quelli mattutini che non vorrei mai vivere veramente...
Ho ripetuto la mia deposizione di 5 anni fa. Abbastanza inutile la mia partecipazione, eppure una strana sensazione di ansia di fronte alla scritta a caratteri cubitali nella sezione penale. Non so da cosa dipendesse, ma mi sentivo in soggezione e nel rischio di dire qualcosa di sbagliato che improvvisamente mi catapultasse in un qualche incubo da film. La paura da polizia e magistratura, ingiustificata, secondo me però è parte della nostra natura meridionale. Troppo spesso ci siamo sentiti come popolo sotto accusa e sotto indagine. C'è da qualche parte un senso di angoscia da rischio immaginario, una fibrillazione da occhio critico, che ci rende tesi e dà ampia energia alle nostre antenne del pericolo... E quindi ecco la mia gamba battere nervosamente e le mie parole raggiungere la velocità della luce...
Prova superata, ma spero sinceramente di non doverci andare più nelle sale giudiziarie con le gabbie: senza alcuna ragione, mi ci immagino rinchiuso, e questo è un incubo di quelli mattutini che non vorrei mai vivere veramente...
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