mercoledì 29 febbraio 2012

Il turno di notte

Subito in chiaro: odio i turni di notte. Ancor più chiaro: io non soffro molto di insonnia. Su tutto: la notte, a meno di motivazioni edonistiche, si dorme!

Nonostante ciò sono sulla strada dell'ufficio proprio ora. Nel bus e nel treno che mi porteranno in quel luogo dimenticato da Dio di sicuro, ma purtroppo ben presente negli occhi di questo e di altri uomini, dove trascorro molte ore della mia vita.

Non sempre è possibile scansare la richiesta di presenza ad "alto valore aggiunto" delle 12h serali. Finora ho avuto il proverbiale culo, ma oggi sembra che finirà proprio con una serata in compagnia di gente perbene e a volte simpatica, ma che ti chiede non una serie di battute idiote, bensì professionalità, proprio quando tu invece in genere sei in pigiama...

Nel faticare a trovare un lato positivo in questa vicenda, c'è da dire che la notte è generalmente un momento tranquillo. I super scassapalle sono generalmente meno attivi, anche se mai del tutto immuni dal loro virus a trazione incontrollata. Di sicuro io stesso sono più calmo, probabilmente perché il mio ciclo di attività è decisamente rovesciato. All'inizio e alla fine sono in effetti una bestia difficile da gestire, ma per il resto del tempo la mia pressione assume livelli orizzontali.

Ma tutto ciò resta stiracchiato. L'unica cosa divertente che mi viene da ricordare fu quando lavorai per delle misure notturne sull'autostrada Napoli Salerno, ed ad un certo punto arrivò un'auto che si fermò di fronte al camper. Ne scesero due stangone impellicciate e piazzatissime. Andarono all'autogrill. Non tornarono mai: al loro posto due tizi che avrei visto bene come buttafuori...

lunedì 27 febbraio 2012

Esibizionisti impiccioni...

Dopo l'evidente affermazione dei social network come nuovo elemento culturale, mi interessa capire i motivi che muovono masse enormi di persone a farne un uso continuo e al limite del maniacale.

In un primo momento mi aveva colpito l'aspetto tecnologico. Facebook come Twitter e gli altri, hanno avuto semaforo verde dall'evoluzione della rete. Ancor di più, gli smartphone, compreso quello da cui scrivo in questo momento, hanno favorito la crescita dei numeri e di conseguenza della presenza online. Ma tutto ciò è superficie. La tecnologia in questo caso è solo stata un veicolo di un'ascesa già segnata.

In effetti alla base di tutto e ridotto all'osso, io penso che le motivazioni dell'affermazione siano da ricondursi ai fattori esibizionismo e pettegolezzo. Il primo è il virus irrimediabile ereditato dai media del ventesimo secolo e dalla natura umana che tende a evolversi secondo modelli che passano per vincenti. Vogliamo che gli altri ci vedano, che sappiano che ci siamo, a confermare che il nostro effimero passaggio sulle lande lussureggianti o desolate del globo azzurro, è avvenuto davvero. Non c'è nulla di male, non c'è un giudizio morale in questo. È la realtà che si afferma con la produzione di informazioni assolutamente non necessarie, ma fondamentalmente comuni. Esse ci rendono un network di ipocondriaci, o di raffreddati cronici, o di innamorati speranzosi. Ci rendono un'umanità caduta nella stessa rete e strizzata in una vicinanza a volte asfissiante, ma di fatto calda e confortante.

E poi la curiosità e il pettegolezzo. Vanno insieme e non sono scindibili. Ci piace saperle quelle cose inutili di cui sopra. Farne a meno sarebbe mutilare il nostro spirito. Andare a rovistare nel vissuto degli altri, nella biancheria pulita e sporca di vicini e lontani, è un mestiere molto antico. Se le cose si semplificano nel modello della rete sociale, perché non farlo? Se gli altri non sono così avveduti dal filtrare la propria privacy, cosa ci proibisce di gettare un occhio in profondità recondite per sapere tutto e di più?

È indubitabile che andiamo nella direzione di un overload di informazioni da processare. Il nostro cervello sta perdendo alcune funzionalità e ne sta acquisendo altre. Studi dicono che con l'utilizzo massiccio della rete, riusciamo a concentrarci su un argomento molto raramente e per pochissimo tempo. D'altronde, sembriamo sapere molte più cose e avere accesso a archivi illimitati. Questo potrebbe stimolare processi evolutivi e scenari imprevedibili. E tutto poi perché siamo esibizionisti impiccioni...

martedì 14 febbraio 2012

Il NON detto

C'è una linea precisa che separa il detto dal non detto. Non è una linea retta, al contrario, è una curva tortuosa e dalle mille anse che rende gli estremi infinitamente vicini eppure nettamente separati.


Ciò che si dice è soggetto a interpretazione esattamente e più delle parole non pronunciate, ma le sue conseguenze sono leggibili, comprensibili a volte. Il non detto è del tutto imprevedibile. Può portare a conclusioni diametralmente opposte.


Gli introversi e gli estroversi hanno una relazione complicata con il non detto. Gli introversi, contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, lo vivono come un ennesimo fallimento comunicativo. La innumerabile volta in cui non sono riusciti a trasmettere il loro pensiero. Potrebbero fregarsene, ma come? In fondo gli introversi sono solo persone che hanno difficoltà a esprimere il loro mondo interiore, non sono muti. Chiarire e puntualizzare i contorni del proprio essere fa parte della loro mission, magari inconscia. In fondo per gli introversi, non dire è un grave reato se perpetrato dagli altri, perchè li costringe ad uscire dal loro bozzolo per provare a capire. Il loro esprimersi è per natura limitato e macchinoso. Il risultato del non detto sarà quindi a metà in quella lunga strada tra bianco e nero di cui sopra...


Per gli estroversi, non comunicare qualcosa, apre infiniti scenari interpretativi. Questo significa vedere e immaginare tutte le possibili strade nell'impossibilità di trovarne una più convincente delle altre. Il non detto li tortura e li rende (ci rende) duri, sospettosi, li allontana irrimediabilmente con un biglietto di sola andata. Il non detto ha un volto enigmatico, ma dolorosamente contorto in un ghigno di inspiegabile frustrazione. Gli estroversi vorrebbero aiutare le controparti a dire, ma devono abbandonare il campo quando realizzano che il silenzio non è il loro elemento naturale.


Ciò che si dice non si ritira, ma si può provare a spiegare. Può far male, ma siccome è un attacco allo scoperto, alla luce del sole, ci si può difendere o reagire vedendoci bene. Il non detto è un killer silenzioso che attacca nell'ombra ed è letale nella sua precisione. E' un colpo secco che ti raggiunge magari in ritardo e ti lascia abbattuto a terra ad agonizzare.


E' inutile aspettarsi che il tempo curi le ferite del non detto. Esso non ha potere sull'incomprensibile. E' triste, e stasera la mia riflessione non è priva di questo silenzioso rimpianto. In fondo il non detto è una di quelle cose che non può finire nella categoria rimorsi. E' solo il doloroso bagliore di una lama che arriva a fare uno spazio che non viene riempito...

lunedì 13 febbraio 2012

Un weekend nei perchè di Milano

Lo scorso weekend ho visitato Milano. Ormai ci sono stato varie volte, anche da turista, e non posso dire di non aver visto nulla. La pinacoteca di Brera, il museo della scienza, il Cenacolo, S. Ambrogio e il Duomo, i negozi e la vita degli happy hours. Insomma roba interessante, anche se la città mi sembra non chiarire al mio occhio mai i suoi perchè. Dopo anni di immersione senza boccaglio nella ricca Svizzera, riconosco l'Italia dai suoi tratti comuni piuttosto marcati. Ad esempio, da nord a sud, c'è la legge del parcheggio selvaggio. Macchine in ogni ordine e fila, disposte disordinatamente e contro ogni logica. Venendo da oltralpe tutto cio' risulta quasi disturbante. Ma non si possono disconoscere le proprie origini, e quasi ci si trova a rilassarsi nella assenza di regole...

Milano non fa eccezione ed è quasi peggio di Napoli nella sua occupazione continua di suolo pubblico... A parte questa banalità, Milano resta per me una città abbastanza misteriosa. Tralasciando il casino toponomastico che non riesco a comprendere, l'alternarsi architettonico di palazzi grandi piccoli e medi mi scombussola. Allo stesso modo non capisco la mondanità spinta. Dipenderà dalla voglia di divertirsi dopo aver prodotto? O è l'unico segno tangibile di quella italianità della caciara sopravvissuta alla potente vicinanza delle nazioni d'Oltralpe?

Con il sole, sperimentato piu' volte contro tutte le attese, Milano è finanche luminosa. Ma resta piena di angoli in ombra difficilmente leggibili. Per un miope come me, questo è un aspetto abbastanza frustrante. Eppure ci sono dei milioni di persone che la eleggono a loro residenza definendone poi pregi e difetti, motivi di esistenza e ragioni caratterizzanti. Mi resta sempre il dubbio di capire se ci sia un perchè a tutto questo che non sia il solo bisogno di sopravvivere grazie ad un lavoro trovato solo in quella zona.

Non è un giudizio di merito, ma solo la sensazione che in troppi siano scelti dalla città nella sua tentacolare morsa che abbranca con ventose potentissime. La scelta di Milano da parte degli altri, appare invece meno costante. Un amore odio per un luogo che offre il suo meglio indissolubilmente legato al suo peggio... Il tutto in una moderata visione, forse un po' stucchevolmente moderata...

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