domenica 17 febbraio 2008

Illuminazioni

Vi avviso, questo sarà un lungo post. Sto leggendo un libro che trovo bellissimo. Difficile, multilivello, affascinante. E' "L'eleganza del riccio" di Muriel Barbery. Un libro che racconta una storia, e si può leggere quella. Un libro che parla di teorie filosofiche e si può salire di livello. Se poi si è letto e si conoscono Kant, Marx, Tolstoj e se si ama la musica e la pittura è un tuffo nella comprensione della vita e nella bellezza. Magari non è incoraggiante questa mia premessa, ma vi assicuro che il libro è anche la storia di due vite di persone solitarie e sconfitte, che si nascondono al mondo e che ... bhè la fine non la so, non l'ho finito.
Ma in libri come questo a volte si trova un passo che vi illumina come un lampo, che vi fornisce una chiave di comprensione, una svolta mentale a 180° che vi mostra cose che non avreste mai immaginato esistessero o che vi dà parole per sensazioni che erano compresse dentro di voi.
Seconda premessa: quando afferro un argomento poi non lo lascio finchè non l'ho spolpato fino all'osso.
Adesso vi trascriverò un passo del libro:
- ... "Ma a cosa serve la grammatica?" ha chiesto Achille ... La professoressa ha fatto un lungo sospiro, tipo "sono ancora costretta a sorbirmi delle domande stupide" e ha risposto: "Serve a parlare e a scrivere bene".
E lì a momenti mi veniva un infarto. Non ho mai sentito niente di così insensato. E con questo non voglio dire che sia sbagliato, voglio dire che è davvero insensato. Sostenere, davanti a degli adolescenti che sanno già leggere e scrivere, che questa è l'utilità della grammatica è come dire a qualcuno che per fare bene la cacca e la pipì bisogna leggersi la storia del water attraverso i secoli. Non ha senso! E poi, se almeno ci avesse dimostrato con qualche esempio che dobbiamo conoscere un certo numero di cose sulla lingua per utilizzarla come si deve, beh, al limite sarebbe stato un buon inizio. Per dire, conoscere i tempi di tutte le coniugazioni permette di evitare gravi errori che ti fanno vergognare davanti a tutti durante una serata mondana ("Avrei arrivato volentieri più presto ma ho prenduto la strada sbagliata"). Oppure, conoscere la regola dell'accordo dell'aggettivo qualificativo usato come epiteto è decisamente utile se devi scrivere un invito appropriato per andare a fare quattro salti alla reggia di Versailles, onde evitare i "Cari amico, volete raggiungerci a Versailles questa sera? Ne sarei davvero lieto. La Marchesa de Grand-Fernet". Ma se la professoressa crede che la grammatica serva solo a questo ... Eravamo in grado di usare e coniugare un verbo ben prima di sapere cosa fosse. E se il sapere aiuta, non mi pare comunque che sia decisivo.
Io credo che la grammatica sia una via d'accesso alla bellezza. Quando parliamo, quando leggiamo o quando scriviamo, ci rendiamo conto se abbiamo scritto o stiamo leggendo una bella frase. Siamo capaci di riconoscere una bella espressione o uno stile elegante. Ma quando si fa grammatica, si accede a un'altra dimensione della bellezza della lingua. Fare grammatica serve a sezionarla, guardare come è fatta, vederla nuda, in un certo senso. Ed è una cosa meravigliosa, perchè pensiamo: "Ma guarda un po' che roba, guarda un po' come è fatta bene!", "Quanto è solida, ingegnosa, acuta!". Solo il fatto di sapere che esistono diversi tipi di parole e che bisogna conoscerli per definirne l'utilizzo e i possibili abbinamenti è una cosa esaltante. Penso che non ci sia niente di più bello, per esempio, del concetto base della lingua, e cioè che esistono i sostantivi e i verbi. Con questi avete in mano il cuore di qualunque enunciato. Stupendo, vero? I sostantivi, i verbi ...
Forse bisogna collocarsi in uno stato di coscienza speciale per accedere a tutta la bellezza della lingua svelata dalla grammatica. A me sembra di farlo senza alcuno sforzo. Credo di aver capito com'è fatta la lingua a due anni, in un colpo solo, sentendo parlare gli adulti. Per me le lezioni di grammatica sono sempre state sintesi a posteriori e, al limite, precisazioni terminologiche. Mi chiedo se sia possibile, attraverso la grammatica, insegnare a parlare e a scrivere bene a bambini che non hanno avuto l'illuminazione che ho avuto io. Mistero. Intanto tutte le professoresse Maigre della terra dovrebbero chiedersi quale brano di musica proporre ai loro alunni per farli entrare in trance grammaticale. ... E sulla strada di casa ho pensato: sfortunati i poveri di spirito che non conoscono né la trance né la bellezza della lingua. -
Ecco, questo è successo anche a me, nello stesso identico modo e alla stessa età. E questo spiega anche il mio orrore per l'uso delle K al posto delle C, le abbreviazioni insensate come cmq, tvb, etc. soprattutto quando non hanno alcun fine. La bellezza è anche adeguatezza. E se in un sms può essere adeguato abbreviare per risparmiare parole, non lo sono in un testo, anche solo in un post.
Ho finito, posso solo aggiungere che il libro è veramente bello e vi consiglio di leggerlo. Un saluto a tutti e in particolare ad Angy.

3 commenti:

Andrea B ha detto...

Questa lettura della tua Lettura, mi trova concorde e anche un pò scornato: anche io a volte uso il docile cmq al posto del più lungo comunque...

Io credo che sulla via di Devoto e Oli ci sia sì l'illuminazione di cui parli, ma ci sia nel tempo anche la voglia e la necessità di assorbire da tutti e da tutto parole parole parole. Parlare, scrivere, pensare e associare in periodi complicati e ricchi di significato e di sonorità meravigliose sono un esercizio lungo, che richiede naturale predisposizione, ma anche la sana applicazione al problema...

La scuola in questo senso fa, pur dimenticando a volte che la lingua è oggetto vivo e che se i giovani riuscissero a accostarsi a scrittori che sanno creare, anche oggi, suggestioni e dimensioni con le parole, potrebbero evitare di credere che scrivere un tema sia un noioso esercizio inutile...

La perfezione stanca ha detto...

Sai, per un periodo della mia vita, quando ero molto giovane, cercavo di parlare semplice, cercavo di non usare termini complessi, non usano il congiuntivo, mi nascondevo insomma. Poi ad un tratto mi sono detta: ma perchè devo usare 3.000 parole quando ne conosco 15.000, perchè devo essere come la massa? Cosa c'è di male ad essere un po' diversi?
E così ho ricominciato a raccogliere parole e ad usarle, felicemente.

Andrea B ha detto...

E' successo anche a me, ma nella scrittura sono sempre stato abbastanza divertito dall'uso di termini dai contorni aulici e per questo spesso fantasiosi...

L'uso di parole arcaicheggianti mi ha sempre fatto sembrare un letterato, anche se di lettere poche ne ho scritte... Ma non posso dirti l'ira della mia prof di italiano quando all'esame di maturità mi rifiutai di portare italiano e decisi per inglese e fisica!

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