sabato 31 gennaio 2009

Dal tetto del mondo, cadere fa male?


Prima di infilarmi in un desiderato fodero, stasera mi sono imbattuto in quei servizi sportivi che mi piacciono tanto sulle reti rai... Si ripercorrevano i successi di alcuni dei nostri campioni olimpici italiani. Ragazzi, ragazzini di indubbio valore atletico, che con dedizione hanno saputo spremere da se stessi quei talenti che non si possono solo costruire...

A sentirli parlare nella loro ingenuità di persone che stanno ancora crescendo, mi è nata la curiosità di capire cosa succede in quel processo per cui un giorno sei sul tetto del mondo, e dopo un pò scendi le rampe di scale fino a ritornare al piano terra, sperando di non ruzzolare giù... Napoleone che fu 3 giorni nella polvere, 3 giorni sugli altari, non seppe mai riprendersi dalla sua mania di onnipotenza e dal suo sogno di dominio... Il paragone è ovviamente forzato, ma mi domando se poi lo sia tanto. Questi ragazzini (sì, non prendiamoci in giro, gli atleti sono ancora dei ragazzini...), si trovano un giorno a diventare i signori delle loro discipline: investiti di santità, infilati nel tritacarne mediatico, come possono mantenere distacco da quelle ammalianti sirene che si chiamano notorietà e adulazione? Quell'Ulisse legato all'albero maestro è un'immagine impossibile, perchè nessuno si può realmente far fermare senza provarne un dolore che tutto sommato è inutile... E tutto questo va avanti finchè si è ancora in gara, finchè si è ancora i primi.

Sul tetto del mondo, ecco come ci fanno sentire i nostri eroi... E poi? Quando non ce la fanno più a essere lì, su questi grattacieli sempre più alti? Noi, gli spettatori che si sentono onorati e partecipi delle vittorie senza averne alcun merito, passiamo al nuovo che avanza, dimenticandoci di quelli di ieri o dell'altro ieri senza scrupolo alcuno... Ingenerosi, vediamo le gare e giudichiamo: è finito, non ne ha più. Giriamo poi lo sguardo senza rimorso, esaltati da qualcosa di meglio, di più fresco...

E come vivono dopo loro, quelli che sono stati e adesso non sono più? Non lo so. Immagino che non sia facile trovare una propria dimensione. Forse si guardano indietro dicendosi: sì, ho vissuto... E poi, il quotidiano come diventa? Non diviene l'insopportabile follia dell'anonimato? Io sono un tipo anonimo. Molti vedendomi passare non si ricorderanno di me, del mio viso, del mio sorriso dritto o storto, dei miei occhi chiari o scuri. Per loro invece da un ricordo vivo sui volti di tutti, si passerà a quella dolorosa indifferenza che lascia stupiti e delusi... E che tristezza pensare che ancora in vita, si parlerà di loro sempre al passato. Una beffa e una condanna per quegli sportivi che non sono altro che uomini come noi...

Non c'è soluzione alcuna perchè non vada così. Permettergli di costruirsi un ego forte, un animo indipendente dalle carezze altrui, che non abbia bisogno del calore dei riflettori per essere riscaldato non è facile, ma mi auguro che tanti provino a farlo. Io non mi dovrò mai risvegliare con il pensiero che domani non sarò PIU' nessuno, e tutto sommato, questo dolore sono contento di potermelo risparmiare... Non sono gli altri a farci essere noi, o almeno c'è da sperarlo...

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