giovedì 11 febbraio 2010

Programmare: amore e odio


Tra le mie "molte" abilità lavorative, c'è il fatto di sapere programmare software. Significa che sono capace di far fare al computer delle operazioni più o meno complicate, che per la maggior parte della gente non hanno alcun senso, ma che in ambiente tecnico hanno invece un valore intrinseco...

Combinando milioni di piccole parole dettate da una logica più o meno ferrea, nascono cose che usiamo tutti i giorni e che a molti sembrano frutto di una arcana magia. Facebook, MSN, Google, Windows e Mac OS, hanno tutti dietro delle strane combinazioni di simboli che sono in grado di mettere in moto l'elettronica dei nostri dispositivi.


Tutto sommato è un linguaggio di comunicazione che identifica chi lo usa: se si guarda un programma si capisce bene che mente c'è dietro. Ordinata, geniale, confusa e sprecona, taciturna o comunicativa, la natura del programmatore esce fuori da come le linee di testo si susseguono nella loro disposizione più o meno elegante...


Programmare è una attività che mi assorbe profondamente. Non ce ne sono molte più così. E' una delle poche cose che riesco a fare senza interruzione. Una di quelle che mi spinge al limite di non andare al bagno per una pipì se non in caso di estrema emergenza. E' chiaro quindi che la amo: mi fa sentire profondamente soddisfatto quando il programma funziona, e la frustrazione dell'errore mi spinge solo a risolvere il problema... Però è anche un'attività che odio. Proprio perchè mi assorbe e mi lascia stremato. Proprio perchè non riesco a appendere poi la tastiera al chiodo. E sono tormentato dalle immagini del codice che non gira, dalla ricerca della soluzione migliore o semplicemente di una soluzione.

Oggi dopo 6h non stop, me ne sono andato dall'ufficio a malincuore, pensando solo a quello che ancora avrei voluto fare... E' un bene e un male. La stanchezza che ne segue, è però consolante...

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