La vita lavorativa può essere una sequenza di esperienze che hanno due effetti: il primo è una crescita in termini di responsabilità e la seconda un miglioramento di efficienza. Ovviamente eacludo le "cape di chiovo" (teste di chiodo) che anche se le martelli 100 anni non sono capaci di cambiare.
La responsabilità aumenta per un discorso di ambizione e anche perché si riconoscono determinate capacità e ci si focalizza su di esse dando un vantaggio sia al datore di lavoro, chiunque esso sia, e all'individuo, mediamente stimolato da cose nuove.
La possibilità di lavorare più velocemente è invece semplice conseguenza dell'esperienza e dell'acquisizione di competenze specifiche che aumentano la comprensione dei problemi da risolvere.
Il risultato di questo, in una società avanzata e in progresso, è uno sviluppo in cui costantemente, con creatività e con nuovi mezzi, ci si spinge quel passettino più avanti.
Non tutti saranno geni, ma per far funzionare le cose, è "la somma che fa il totale".
E ora ecco I dolori. Se per una qualsiasi ragione la tua vita lavorativa viene costellata di inspiegabili e inspiegate delusioni che non riconoscono quel progresso che hai fatto, il meccanismo si inceppa. Se il fatto di avere un lavoro retribuito (o anche non retribuito) diviene un privilegio, diventando quindi esso stesso la tua ricompensa, la natura umana è quella di appoggiarsi allo schienale della propria sedia e non andare alcun passo oltre quello necessario. Il progresso, visto come una inarrivabile chimera, non ha ragione di essere inseguito. L'esperienza diventa un bagaglio utile a fare prima il dovere, ma senza piacere. Insomma un pantano di sabbie mobili che risucchia senza pietà tutti e tutto.
È così che un paese produttivo muore. È questo che accade all'Italia?
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