mercoledì 11 dicembre 2013

Racconto di Natale

Era una mattina dubbiosa. La nebbia non lasciava passare altro che l'odore sottile delle polveri si scarico di auto di grossa cilindrata e camion di irragionevole peso. I suoni attutiti non sapevano dare la sveglia a chi guardando fuori dalla finestra aveva scosso la testa. Se c'era elettricità nell'aria probabilmente non a tutti era dato goderne.

Per molti o tutti i passanti, la candela che ardeva di fronte alla bancarella del venditore di pastori, ricordava che Dicembre camminava veloce. Era tuttavia anche l'annuncio della frenesia godereccia in arrivo. Quelle settimane di incontrollabile preparazione alle feste. L'obbligo morale di festeggiare e un po' immorale di esagerare, dimenticando per qualche giorno i  tanto ragionevoli limiti che la società civile usava darsi.

Storcendo il naso al pensiero della battaglia per entrare in metropolitana, si incamminò deciso verso la stazione sperando di non incontrare i soliti pendolari chiacchieroni. Non c'era scampo allo scambio di pensieri altamente filosofici sul clima così poco piacevole e sul menu di Natale. Eppure non si sentiva pronto a mostrare quel volto sorridente che andava inevitabilmente indossato. Nella tasca pesava troppo quella lettera prevista, ma non per questo indolore. E la sua migliore interpretazione ottimista l'avrebbe dovuta riservare per la cena, quando la comunicazione ufficiale che era disoccupato non sarebbe stato un dessert tradizionale, ma molto più probabilmente un terribile caffè bruciato da ristorante...

Riuscì a trovare un posto un po' isolato, ma anche lì una faccia familiare densa di occhiaie lo incrociò nei pochi centimetri disponibili del primo vagone. Entrambi provarono a sorridere, ma alzare le gote sembrò uno sforzo incommensurabile. Parlare del tempo apparve superfluo. Discutere dei mali del governo e della globalizzazione assolutamente insopportabile.
Scartando l'ipotesi di un silenzio di tonnellaggio inaccettabile, rimase il lavoro. Già, quello che non c'era più. Gli sembrò impossibile fingere che nulla fosse successo. Gli sembrò così inutile proteggere una privacy decurtata di ogni valore. E brutalmente, finanche con un po' di quella vergogna orgogliosa, disse: "Oggi mi hanno licenziato.".
Il volto cadente non mostrò quell'attesa pietà né un moto di paziente comprensione. Semplicemente annuì rispondendo: "le lettere le ho mandate martedì, inclusa la mia...".


Non c'erano parole da aggiungere. Non un perché da domandare né qualche incoraggiamento da attendere o da trasferire. Scesero dal treno spalla a spalla, e insieme percorsero quella strada che non aveva segreti dopo tanti anni, eppure era pervasa dal mistero del futuro. In fabbrica, senza mettersi d'accordo, ritirarono i piccoli oggetti lasciati a impigrire nei cassetti e che pure valevano un ricordo sentimentale. La busta della spesa fece da compagna alla scatola di cartone. Le facce sui badge si guardarono da vicino sul tavolo della portineria. Non si proposero un caffè, neanche un cordiale. Si mossero contratti e monolitici verso una nuova routine da scoprire e ricercare. Non serviva un buona fortuna e non fu detto.

Bastò uno sguardo per la pace e per un condiviso "a mai più..." Si separarono naturalmente e non a malincuore pur rimanendo per sempre in quell'istante.

Era la vigilia di Natale...

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